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mercoledì 28 ottobre 2020

L'Inter e il suo gioco nella storia del calcio

Le squadre di calcio hanno un'anima? La questione sembrerebbe di lana caprina. E non si può applicare la teologia dell'Aquinate allo sport più popolare. Certo e ci mancherebbe altro. Però, ogni squadra, pensateci bene, è diversa dalle altre. Ha, se non una propria anima, un proprio modo di essere, di comunicare. E di stare sul campo. Pensate al River Plate e al Boca Juniors: stili di gioco diversi e riconoscibili che si perpetuano da più di un secolo. Pensate all'Ajax, al calcio totale, che si nutre di atletismo e tecnica diffusa, coralità e visione d'assieme: gioca così da 50 anni e ieri si è visto contro l'Atalanta in Champions. Anche nel calcio italiano è così. Le grandi tradizionali hanno il loro stile di gioco. Il Milan, almeno dai tempi degli svedesi Gren, Nordahl e Liedholm,  poi l'uruguagio Schiaffino, ha cercato di comandare il gioco, di attaccare prima di tutto. La Juve, al netto del suo peso politico sportivo sempre ingentissimo, ha tradizionalmente schierato squadre coriacee, muscolari, innervate ogni tanto da un giocatore di talento superiore: Sivori, Platini, Roberto Baggio, Zidane. Ma non c'è stata Juve più Juve di quella di Trapattoni degli anni '70: quella di Furino, Benetti, Tardelli. Così l'Inter di Conte. L'Inter, per venire al tema del post, è sempre stata squadra lunatica e di reazione. Grande difesa, contropiede, ma potete anche parlare di ripartenze fulminee, e genio diffuso in avanti. Dai tempi di Cevenini III, uno che con il pallone faceva cose mai viste prima. Ed erano gli anni '20. E poi Meazza, che, ci fossero più documentate immagini di repertorio, metterebbe a tacere le dispute sul più grande giocatore di sempre. Maradona, escluso, va da sé. Le Inter vincenti che si ricordino avevano tutte queste caratteristiche. Quella di Foni - scudetti nel 1953 e nel 1954 - con il libero, quando pochi lo usavano, e un attacco atomico: la rapidità di Lorenzi, la forza di Nyers, il genio ribelle dello svedese sudamericano Skoglund. Che avrebbe avuto emuli in Corso, Beccalossi, Recoba. Della Grande Inter tutti sanno tutto. Quante partite vinse per 1-0? Per una punizione di Corso? Per un contropiede di Jair o Mazzola? E la difesa, quella difesa leggendaria, non c'era modo di violarla. Anche l'Inter di Bersellini era così. Solidissima dietro, davanti si concedeva il lusso di Beccalossi, che tutti credono mancino, ma era destro in origine, che dribblava passeggiando, dietro le due punte Altobelli e Muraro. Anche l'Inter dei record era così. Più forte, ma giocava così. Contrattaccando. La cavalcata di Berti contro il Bayern Monaco è il manifesto di quella squadra. Così pure l'Inter di Simoni, che si chiudeva e ripartiva liberando Moriero e sua maestà Ronaldo. La stessa Inter del triplete, che pure aveva una rosa e possibilità con pochi eguali al suo tempo, era una squadra reattiva. Monolitica dietro e fantasiosa in avanti. Ora, cosa c'entra lo schema di Conte, il pressing alto, uno sterile possesso del pallone, tre difensori, due terzini e tre mediani, senza un fantasista e senza fantasia, con la storia calcistica nerazzurra? Si può vincere contro la propria storia? Accadde al Brasile del 1994. Ma fu un'eccezione. E l'eccezione è sempre l'ancella della regola.

martedì 28 aprile 2020

Lo scudetto dell'Inter di Bersellini, 40 anni fa

L'ultimo campionato vietato agli stranieri. Finì nel 1980 la chiusura delle frontiere calcistiche, decisa dopo la sconfitta ai mondiali del 1966 contro la Corea del Nord. Quelli, tra gli stranieri, che in serie A già c'erano, nel 1966, però rimasero. Fu all'inzio degli anni '70, pertanto, che il campionato italiano divenne del tutto autoctono. E tale rimase fino, si diceva, al 1980. L'anno del dodicesimo scudetto dell'Inter, allenata da Eugenio Bersellini e presieduta da Ivanoe Fraizzoli. L'Inter fece campionato di testa, vinse i due derby contro il Milan, che un anno prima aveva conquistato lo scudetto della stella e salutato Rivera al passo d'addio, ed inflisse un memorabile 4-0 alla Juve di Trapattoni, con tripletta di Altobelli e sigillo di Muraro. Che squadra era l'Inter 1979/80? In porta schierava il silenzioso Bordon, reattivo, esplosivo, fortissimo tra i pali, chiuso in nazionale da Zoff. Difesa con terzini/centrocampisti come Beppe Baresi e Oriali, ma a destra giocava spesso, in marcatura, anche Canuti, Mozzini stopper tosto e Graziano Bini, giovane capitano cresciuto nel vivaio, libero mancino, alto ed elegante, anche lui chiuso in nazionale da Scirea e dall'emergente Franco Baresi, fratello di Beppe. A centrocampo c'era il corridore, incontrista, Marini, il mediano di spinta dalla falcata poderosa, Pasinato, Mimmo Caso regista arretrato dall'ala da Bersellini e, sulla trequarti, a bivaccare in attesa del colpo di genio, frequente e abbagliante, il meraviglioso Evaristo Beccalossi, maestro del dribbling e della pausa, testa alta, piedi fatati, mancino. Come mancino, pare e dico pare perché calciava i rigori di destro e le punizioni di sinistro e, insomma, vai a capire con quella tecnica quale fosse il suo piede preferito, era il centravanti "Spillo" Altobelli da Sonnino. Uno che segnava in tutti i modi, con entrambi i piedi, di testa, gran fondamentale, in contropiede. E dribblava, scalava sulla fascia, crossava, veniva incontro ai centrocampisti. Un asso. All'ala sinistra, terzo mancino su tre giocatori d'attacco, il velocissimo Carletto Muraro, tiro secco e stacco imperioso. L'Inter conquistò il campionato con due giornate di anticipo. E chiuse con 3 punti di vantaggio, ogni vittoria ne valeva due, sulla Juve. Stava cambiando tutto. Proprio quell'anno ci fu il calcio-scommesse, giocatori arrestati in campo. Milan retrocesso per illecito sportivo.  Verranno squalificati Albertosi e Paolo Rossi, Giordano e Manfredonia. E, alla ripresa, i primi stranieri, uno per squadra, si riaffacceranno in serie A, che stava per diventare, lo sarebbe rimasta per oltre un decennio, il più affascinante, competitivo e spettacolare campionato di calcio del mondo.

giovedì 15 novembre 2018

Elzeviro: Carlo Muraro. Eroe dell'Inter di Bersellini

Carlo Muraro, classe 1955, è stato uno degli eroi dell'Inter di Eugenio Bersellini. Ala sinistra, dalla corsa facile, il tiro potente ed il perentorio stacco di testa, a dispetto della media statura, contropiedista imprendibile, sembrava destinato, alla metà degli anni '70, ad una grandissima carriera. Che si compì solo in parte. Lo soprannominarono lo Jair bianco, per la falcata ampia, da mezzofondista veloce. Altri videro in lui un nuovo Nyers, il favoloso attaccante esterno del tridente dell'Inter di Foni, che furoreggiò, nei primi anni '50, con Lorenzi e Skoglund. Con Altobelli, a partire dal 1977, e Beccalossi, dal 1978, Muraro fece impazzire le difese della serie A, senza mai ricevere una convocazione in nazionale da Bearzot. Difficile spiegare perché un giocatore dal bagaglio tecnico così completo non sia riuscito a diventare il fuoriclasse, che molti avevano intravisto agli esordi. Ancor più difficile spiegare il suo precoce declino: lasciò l'Inter a 26 anni, dopo avervi vinto la Coppa Italia nel 1978 e lo scudetto nel 1980 e segnato in tutte le partite di cartello, in campionato e in Europa. Quando vi tornò, due anni dopo, nel 1983, dovette rassegnarsi, per altre due stagioni, ad un ruolo da comprimario. Un incompiuto. Che, nelle giornate di grazia, segnava triplette, al Napoli, alla Roma. E castigava sempre la Juve tostissima di Trapattoni. Ecco i dieci gol più belli, tra i 55 complessivi, segnati da Carletto Muraro con la maglia dell'Inter.
Carlo Muraro

domenica 17 settembre 2017

È mancato Eugenio Bersellini. Guidò l'Inter allo scudetto del 1980

È mancato Eugenio Bersellini, storico allenatore della vecchia scuola italiana, che raggiunse l'acme della carriera tra il 1977 ed il 1982: per cinque anni allenatore di un'Inter in cui Fraizzoli era il presidente e Sandro Mazzola, appena passato dal campo alla scrivania, il direttore sportivo. Lo chiamavano sergente di ferro Bersellini, per i suoi metodi di allenamento e di governo della squadra. Vinse lo scudetto del 1980 e le Coppe Italia del 1978 e del 1982. Nel mezzo, il mundialito a squadre del 1981. Era un'Inter compatta e determinata,  capace però anche di vittorie ampie e spettacolari, innervata dal talento umbratile di Beccalossi, che solo Bersellini riuscì a far rendere al meglio, e dai gol meravigliosi di Altobelli. A centrocampo Oriali e Marini e Pasinato, che furoreggiava sulla fascia destra. Mediano di spinta prima di Zanetti, più forte di Zanetti. Bini, libero mancino elegantissimo, era il capitano. Bordon il guardiano della porta. E poi Beppe Baresi e Canuti e Occhipinti e Carletto Muraro, ala sinistra che prometteva mirabilia e si fermò a mezza strada. Tutti loro a Bersellini ed alla sua guida sicura debbono moltissimo. Da anni era ormai lontano dal grande calcio. Ma non c'è un tifoso nerazzurro nato prima degli anni '80 che l'abbia dimenticato. Che la terra gli sia lieve. 

mercoledì 30 novembre 2016

Campioni dimenticati: Giancarlo Pasinato eroe dell'Inter di Bersellini

Il tempo è galantuomo, si dice. Eppure non sempre questi proverbi colgono nel fondo l'essenza delle vicende umane e sportive. Così accade che grandi giocatori, amatissimi dai propri tifosi e temuti da quelli avversari, per una congiura di sfortunate circostanze, si ritrovino, a pochi anni dal ritiro, se non dimenticati, almeno ricacciati in un cono d'ombra, per venirne fuori solo ogni tanto. E' di questi giocatori che vorrei parlare. Cominciando da Giancarlo Pasinato. Visse la parte migliore della carriera con la maglia dell'Inter, dopo avere impressionato con la maglia dell'Ascoli. Ai tempi di Altobelli e Beccalossi, di Bordon e di Oriali e di Bini. Con Bersellini allenatore, conquistò il dodicesimo scudetto dell'Inter, all'esito del campionato 1979/80 e la Coppa Italia del 1982. Quando, per un errore di valutazione della dirigenza, venne, assieme a Canuti e Serena, scambiato con Collovati, finendo al Milan retrocesso, per la seconda volta, in serie B. Tornò l'anno dopo all'Inter e ci rimase sino al 1985, quando la sua storia nerazzurra si concluse dopo 185 presenze e 11 gol. Ma chi era il calciatore Pasinato? Veneto di Cittadella, Pasinato nasce nel 1956. Fisico massiccio, 1,82 m per 80 kg di muscoli, che, a metà degli anni '70, ne fanno un autentico colosso, gioca a centrocampo. Spesso con la maglia numero quattro. Un mediano, ma non soltanto un corridore ed un incontrista. Pasinato possiede una violenta accelerazione, che gli permette di sbarazzarsi degli avversari una volta distesa l'ampia falcata. Ara il campo 20 anni prima che inizi a farlo Zanetti. Con la differenza che, arrivato sul fondo, gioca a destra e spesso sembra un'ala, i suoi cross sono precisi e calibrati, a tutto vantaggio di Altobelli e di Muraro. Lo chiamano carro armato. E così debbono percepirlo gli avversari. Bearzot non lo vede, tetragono nella difesa del suo gruppo, e la mancata ribalta della nazionale svolgerà un ruolo decisivo nella dimenticanza che colpirà Pasinato a fine carriera. Eppure Pasinato è una forza della natura. Le sue cavalcate, divenute proverbiali, sono amatissime dai tifosi nerazzurri. Come questa. Ribalta il fronte da solo, cinquanta, sessanta metri palla al piede, senza che gli avversari riescano a fermarlo, ad atterrarlo. Possanza e velocità, progressione e sapiente conduzione del pallone. Uno degli eroi del coast to coast. Brera lo soprannominò Gondrand, come l'omonima ditta di trasporti. Io provoco così: il miglior Pasinato è stato più forte del miglior Zanetti. Agli scettici segnalo le molte immagini di repertorio, che potrebbero e potranno confermarlo.

giovedì 3 dicembre 2015

Elzeviro: 4. Alessandro "Spillo" Altobelli, il centravanti per eccellenza, ha compiuto 60 anni

Quando debbo pensare ad un centravanti, al centravanti per eccellenza, e seguo il calcio da più di 30 anni, il primo nome che faccio è sempre quello: Altobelli, detto "Spillo", per undici anni consecutivi numero nove di un'Inter che avrebbe meritato di vincere di più. Per restituire la dimensione della sua grandezza agonistica, basti ricordare che con la maglia nerazzurra mise a segno la bellezza di 209 gol in 466 partite, secondo solo all'inarrivabile Meazza, 282 gol, fra il 1977 ed il 1988, alla media di 19 gol a stagione. In un'epoca, converrà ricordare, nella quale l'attenzione alla fase difensiva era massima, tutte le squadre del campionato italiano, con un paio di eccezioni, marcavano a uomo e schieravano un libero di ruolo, il campionato era a sedici squadre, trovarsi in linea con l'ultimo difensore avversario era fuorigioco, in caso di retropassaggio il portiere poteva giocare il pallone con le mani. Il compito di un attaccante, insomma, era assai disagevole. Altobelli seppe eccellere a quei tempi, in tutte le competizioni, dalla serie A, alla nazionale, dove chiuse con 25 gol in 61 partite, come Baloncieri. Quando smise, soltanto Riva, Meazza e Piola avevano segnato più di lui. Lasciò il calcio nel 1990, dopo un'ultima stagione in serie B con il Brescia, assommando 298 gol tra i professionisti: allora, soltanto i soliti Piola e Meazza avevano segnato di più. Anche il primato di reti nelle coppe europee, 39, fu suo a lungo. E tale sarebbe probabilmente rimasto senza l'invenzione della Champions a gironi, che, garantendo un numero minimo di partite, avrebbe permesso ad Inzaghi e Del Piero di superarlo. In Coppa Italia è ancora oggi, 25 anni dopo la fine della carriera, il capocannoniere di tutti i tempi, con 56 gol. Che centravanti era Altobelli? Asciutto, anzi smilzo, ma alto per i tempi, 1,81 m, per questa ragione lo chiamavano "Spillo", aveva tecnica di primissimo ordine. Soltanto quando andava a battere dal dischetto, poteva dirsi che fosse destro, dacché calciava altrimenti con eguale disinvoltura anche con il mancino. Fortissimo nel gioco aereo, grazie ad elevazione e scelta di tempo, aveva naturali doti acrobatiche e di coordinazione, che gli consentirono numerose, spettacolari conclusioni al volo. Segnava di rapina e dopo aver saltato l'avversario, in contropiede e calciando dal limite dell'area. La sua acutissima visione del gioco gli permetteva anche di dirigere, all'occorrenza, il gioco offensivo, arretrando sulla trequarti. Corretto, mai i gomiti alti, esultava sempre in modo contenuto, quasi a domandare scusa dell'ennesima prodezza. Una sola volta, al Meazza, perse le staffe, mollando un buffetto ad Hansi Muller, stagione 1982-83, tedesco di fantasia, il calcio è luogo di ossimori, che non passava la palla per principio. Con l'Inter conquistò uno scudetto, nel 1979-80, formando una proverbiale coppia d'attacco con l'estroso Evaristo Beccalossi e due Coppe Italia, andando sempre a sbattere contro il Real Madrid nelle coppe: semifinale di Coppa dei Campioni nel 1981,quarti di finale di Coppa delle Coppe nel 1983, semifinali di Coppa Uefa nel 1985 e nel 1986. Campione del mondo nel 1982, con meraviglioso terzo gol in finale contro la Germania Ovest di Schumacher, pagò nei primi anni la preferenza che Bearzot accordò a Paolo Rossi. Promosso titolare nel 1984, guidò l'attacco fino al 1987, con quattro gol in quattro partite ai mondiali messicani del 1986. E trovò ancora il tempo di mettere la sua firma agli Europei del 1988, appena subentrato a Mancini, contro la Danimarca. L'antipatia di Trapattoni, che a Milano veniva sommerso dai fischi dei tifosi appena osava sostituire Altobelli, lo costrinse a passare, e fu un errore, alla Juve per un anno, comunque segnando con la solita, disarmante, regolarità. A metà degli anni '80, Altobelli fu il miglior centravanti del mondo. Sebbene non sia mai andato oltre il decimo posto, 1986, nella classifica per il pallone d'oro. Un giocatore con il suo repertorio, oggi farebbe sfracelli in serie A ed in Europa. Dei centravanti che poi l'Inter ha avuto, soltanto Ronaldo è stato più forte, sebbene meno completo di lui. Tanto per dare una misura della grandezza di Alessandro Altobelli, detto "Spillo".

lunedì 31 agosto 2015

Inter: vittoria risicata sul Carpi, decide una doppietta di Jovetic

Gol su rigore di Jovetic a tre minuti dal termine e vittoria che conferma l'Inter in testa alla classifica. In vista del derby alla ripresa, dopo la pausa per le nazionali, va bene così. Mancini, però, quasi la stava perdendo la partita. Sull'1-0 per l'Inter, gol di Jovetic manco a dirlo, non ha saputo scuotere la squadra che ha vivacchiato senza riuscire a mettere al sicuro il risultato. Poi, mossa di vero genio!, ha tolto Santon, che d'accordo era ammonito, per Nagatomo, la cui insipienza tattica è proverbiale. E Nagatomo ha dormito sul gol del pareggio del Carpi. Poi il rigore che si è detto, la vittoria per 2-1, la testa della classifica. Va bene così. Contro il Milan, però, ci vorrà ben altro. Brozovic sulla trequarti è un'assurdità, Kondogbia si concede pause che nemmeno Beccalossi e, per la verità, ieri sera mi hanno convinto meno anche Murillo e Miranda. In campo aperto, e qui tornano le colpe di Mancini, soffrono pure loro.

martedì 20 gennaio 2015

Beccalossi e la nazionale

Gianni Brera, con qualche indulgenza all'iperbole, sosteneva che Roberto Baggio a stento reggeva il confronto con il miglior Beccalossi. E forse esagerava. Vero è però che, a cavallo del 1980, Evaristo Beccalossi era il miglior 10 italiano. Mancino, estroso, amante dei ritmi blandi, barocco nel dribbling, ma chirurgico negli assist, spiazzante. Nessuna presenza in nazionale, però. Sebbene idolo nerazzurro, alter ego di Altobelli, vincitore di trofei. Bearzot non lo volle. Mai. Nemmeno una presenza di testimonianza come quella che Messina regalò a Mario Boni, altro sport, stessa storia. Perché? Spiegazione tecnica, tattica, caratteriale? Impuntatura, piuttosto, direi. Messina, anni dopo, ha dichiarato che a Boni avrebbe voluto dare più spazio. Bearzot ha, invece, sempre difeso la sua scelta di escludere il talento bizzoso di Beccalossi. Un'impuntatura più forte, direi.

martedì 9 dicembre 2014

Recoba incanta ancora: assist vellutato per Alonso nell'ultima giornata di Apertura. Nacional campione

Il titolo era già stato conquistato con largo anticipo. Ma, il Nacional ha continuato a vincere, battendo anche il Tacuarembo nell'ultima giornata dell'Apertura 2014 della Primera Division de Uruguay: alla fine 42 punti su 45. In gol il solito Alonso, su assist pregevolissimo di Alvaro Recoba, tornato, a 38 anni e mezzo, a distillare con generosità il suo calcio antico. Una volta, all'Inter, la fantasia era appaltata ai mancini come Skoglund, Corso, Beccalossi e, per ultimo, proprio Recoba. Oggi, il mancino nerazzurro è Dodò. Che gioca un mucchio di palloni, con esiti spesso comici.Del resto, la qualità è quella che è. O tempora o mores

mercoledì 6 giugno 2012

Thomas Muller all'Inter: magari

Finalmente un fuoriclasse. Mi auguro sul serio che l'Inter, dopo tanti grossolani errori, riesca ad ingaggiare un autentico fuoriclasse come Thomas Muller. Che nel Bayern Monaco non ha trovato nell'ultima stagione lo spazio che avrebbe invece meritato. Giocatore completo, forte tecnicamente, astuto tatticamente, preciso nel tiro, tempestivo nel gioco aereo, goleador ma anche regista avanzato, sebbene defilato. Un monumento all'intelligenza calcistica, al gioco essenziale. I tedeschi all'Inter hanno sempre fatto benissimo con l'eccezione del suo quasi omonimo, Hansi Muller, che patì il dualismo con Evaristo Beccalossi. Thomas Muller è un vincente.