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giovedì 21 marzo 2013

In morte di Pietro Mennea, campionissimo della velocità

Non sapevo che stesse male, sicché la notizia della sua morte mi ha lasciato spiazzato. Il più grande campione della velocità azzurra, Pietro Mennea da Barletta, è stato per oltre dieci anni il simbolo della nostra atletica leggera. Sebbene non avesse il fisico del predestinato, Mennea seppe affinare l'innata velocità con allenamenti mirati e straordinariamente intensi, sotto la tutela tecnica di Vittori. Nel centro della Scuola Nazionale di Atletica Leggera di Formia, Mennea seppe costruire, giorno dopo giorno, ripetuta dopo ripetuta, scatto dopo scatto, una carriera leggendaria. La cura maniacale nei dettagli ne fece un asso sia sui 100 m che, specialmente, sui 200 m, dove fu medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Monaco del 1972, facendosi conoscere in tutto il mondo. Cominciò allora una rivalità spettacolare con il sovietico Valerij Borzov, sapendo tener testa ai velocisti americani che avevano da Tokio '64 cominciato a dominare il settore. A Montreal '76, ci si aspettava l'exploit, che invece mancò: nessuna medaglia olimpica. Che sarebbe invece arrivata, e d'oro, sui 200 m alle Olimpiadi di Mosca 1980, quando Mennea, partito in una corsia poco favorevole da letteratura, l'ottava, seppe realizzare una strepitosa rimonta, in curva, il fondamentale in cui eccelleva, completandola sul rettilineo finale. L'apogeo di una carriera, raggiunto dopo aver già stabilito il fantastico primato del mondo sulla distanza alle Universiadi di Città del Messico l'anno prima, nel 1979: un record storico che fece strabuzzare gli occhi a tutti gli osservatori: 19"72. Un tempo capace di resistere agli assalti di grandissimi campioni, a cominciare da Carl Lewis, per oltre tre lustri. Fu battuto, dopo diciassette anni, da Michael Johnson alle Olimpiadi di Atlanta del 1996. Mennea divenne un mito, un simbolo, un'icona, l'esempio della classe sposata al lavoro incessante. Si ritirò due volte e due volte tornò in pista, troppo innamorato del tartan, degli allenamenti e delle competizioni, fino all'addio definitivo datato 1988 quando aveva ormai 36 anni. E' stato campione europeo sui 100 e sui 200. E' ancora primatista italiano in entrambe le specialità, 19"72, si ripete sui 200 m, 10"01 sui 100 piani. Sui 200, per la verità, è anche primatista europeo. Fu pure uno straordinario staffettista, tanto da guidare il quartetto azzurro alla medaglia d'argento dietro gli Usa ai primi Mondiali di Helsinki del 1983, assime a Tilli, Simionato e Pavoni. Che la terra gli sia lieve.

6 commenti:

  1. Mio padre mi raccontava che una volta lo vide a Via Olivella, per chi non lo sapesse la strada che scende da Rialto a Vendicio, col suo allenatore, fare gli scatti in salita con una corda legata alla vita da una parte e ai pesi dall'altra che facevano rumore sfregando sull'asfalto. Diciamo un po' alla Rocky.

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    1. Sì, correva anche trascinando copertoni riempiti di sabbia oppure il tappeto che serve a cancellare il segno degli atterraggi nella pedana del salto in lungo. Un asceta del lavoro.

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  2. Si rassegnino le nostre plurimedagliate schermitrici ma una sola finale nei 200 alle olimpiadi (lui ne ha fatte quattro) vale cinque medaglie nel fioretto. Senza stare a parlare di quello che ha rappresentato nell'infanzia di ciascuno di noi, Pietro Mennea è semplicemente nell'olimpo dello sport. La IAAF (210 paesi aderenti) lo ricorda sul suo sito. Il più grande punto e basta.

    Un saluto

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    1. Concordo. La base dell'atletica era e rimane la più vasta nel mondo dello sport. Sicché emergere, e farlo poi nella velocità, vale tante volte di più che in sport di nicchia.

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  3. Considerazioni quelle di Anonimo, inutili.

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  4. leggo solo ora il post ...mi fa rivivere momenti lontani in cui io, cazzeggiante sull'erba, supino a guardare il cielo terso, lo vedevo a poche decine di metri trascinare un copertone legato ad una corda cinta in vita.
    La scelta di non allenare (che grande esempio sarebbe stato per i suoi allievi..), ma di dedicarsi all'avvocatura, a mio giudizio, resta la più inequivocabile delle spie di quanto il doping sia nemico dell'onestà e dell'impegno.

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